giovedì 5 marzo 2009

La Vergine di Norimberga

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Vi presento uno dei migliori racconti di Bram Stoker, lo scrittore irlandese passato alla storia come l'autore di Dracula il vampiro. Leggetevi questo breve ma efferato racconto. (danleroi)


A quel tempo Norimberga non era meta di tanti turisti come sarebbe invece avvenuto in seguito: Irving non vi aveva ancora recitato il suo Faust e ai più il nome della vecchia città non diceva nulla. Mia moglie ed io eravamo alla seconda settimana di luna di miele e come è naturale cominciavamo a desiderare la compagnia di qualcun altro; così, quando a Francoforte ci imbattemmo in Elias P. Hutcheson, un bontempone arrivato fresco fresco da Isthmian City, Bleeding Gulch, Maple Tree County, Neb, e venimmo a sapere per caso da lui che avrebbe proseguito fino a quel diabolico vecchio buco della vecchia Europa e che pensava che, alla lunga, quel viaggio da solo avrebbe finito per far impazzire anche un attivo e intelligente cittadino come lui, non lasciammo cadere l'argomento e suggerimmo di far fronte comune. In seguito, riparlandone, appurammo che era nelle intenzioni di entrambi condurre la cosa con una certa circospezione, per non lasciar trapelare un entusiasmo che non sarebbe stato lusinghiero per il buon andamento della nostra vita matrimoniale. Ma l'effetto fu ben diverso, per il fatto che tutti e due cominciammo a parlare contemporaneamente: per interromperci nello stesso momento e riattaccare di nuovo insieme. Comunque l'accordo fu raggiunto ed Elias P. Hutcheson venne a far parte della nostra comitiva. Subito Amelia ed io ne cogliemmo il piacevole potere benefico; invece di litigare, come fino a quel momento avevamo fatto, scoprimmo che l'effetto inibitore di una terza persona era tale che ora ogni occasione diventava buona per appartarsi e amoreggiare. Amelia afferma che sempre da allora, a ricordo di quella esperienza, consiglia a tutti di partire per il viaggio di nozze con un amico. Ordunque, visitammo insieme Norimberga e ci divertimmo molto ai mordaci commenti del nostro compagno di viaggio d'oltre oceano che, con un tale bagaglio di meravigliose avventure e quel suo vivo modo di raccontarle, avrebbe potuto benissimo uscire dalle pagine di un romanzo. Ci tenemmo come ultimo punto di interesse la Fortezza e quando arrivò il giorno prestabilito costeggiammo piano piano le mura esterne della cittadella dal lato orientale.


La Fortezza è situata su una rocca che domina la città; sul lato nord corre un fossato molto profondo. Norimberga ha avuto la buona sorte di non essere mai stata messa a ferro e fuoco; in caso contrario non avrebbe potuto conservare quel suo aspetto lindo. Il fossato è in disuso da secoli e ora il fondo è tutto un rigoglio di vegetazione, giardini e giardinetti, e certi alberi hanno raggiunto un'altezza considerevole. Bighellonando lungo le mura al caldo sole di luglio, spesso ci fermavamo ad ammirare il panorama che si apriva davanti a noi, e in special modo la vasta spianata disseminata di città e paesini e delimitata da una linea turchina di colline, come un paesaggio di Claude Lorrain. Da qui sempre lo sguardo tornava con gioia rinnovata alla cittadella stessa, con la sua miriade di vecchi tetti appuntiti e di ardesie rosse, tetti su cui si apriva un duplice ordine di mansarde. Quasi alla nostra destra si ergeva la torre della Fortezza e ancora più dappresso si levava truce la Torre delle torture che era, e forse lo è tutt'ora, il punto di maggior interesse della città. Per secoli la tradizione della Vergine di Norimberga è stata portata ad esempio dell'orrenda crudeltà di cui l'uomo può essere capace; il nostro desiderio di vederla era grande e finalmente eccoci alla sua dimora.

In una sosta, ci chinammo sulla spalletta del fossato e guardammo giù. Il giardino si stendeva sotto di noi a non meno di quindici se non venti metri e il sole vi si riversava infocandolo del calore fermo di un forno. Più in là si ergeva la muraglia grigia, sinistra, che sembrava alzarsi a perdita d'occhio, e che si stendeva in angoli tra bastione e controscarpa. Alberi e cespugli la incoronavano e al di sopra troneggiavano le case più alte sulla cui beltà massiccia il tempo aveva posto mano solo per consacrarne la bellezza. Il sole scottava e noi ci lasciavamo andare alla pigrizia: avevamo tutto il tempo a disposizione e così ce la prendevamo con calma, sostando di tanto in tanto contro la spalletta. Proprio sotto di noi potevamo goderci un piacevole quadretto: una grossa gatta nera distesa al sole, con un micino nero che le zampettava attorno. La madre agitava la coda per divertire il piccolo o alzava una zampa per allontanarlo, come incoraggiamento a nuovi giochi. Erano proprio ai piedi della parete e Elias P. Hutcheson, per dar man forte, si fermò e prese dalla muraglia un ciotole di notevoli proporzioni.

— State a vedere — disse. — Lo lascerò cadere vicino al piccolo e tutti e due si chiederanno da che parte possa essere arrivato. — Oh, fate bene attenzione — raccomandò mia moglie. — Potreste colpire il micino. — Non io, signora, — disse Elias. — Sono di cuore tenero, io. Che Dio vi benedica, non vorrei far del male a quel batuffolo più di quanto non voglia infierire su un bambino. E potete scommetterci quell'accidenti che vi pare. Lo farò cadere verso l'esterno, così che non vada a finire troppo vicino. —

Pronunciate queste parole, si chinò sulla spalletta e lasciò cadere la pietra. Può darsi che per qualche influsso le vicende di minima importanza si trasformino in situazioni gravi, o, più probabilmente, il muro non scendeva perpendicolare ma si inclinava alla base: cosa che d sfuggì dall'alto: fatto sta che la pietra cadde con un orrendo tonfo che rimbalzò fino a noi nell'aria soffocante proprio in testa al gattino, facendogli schizzar fuori la materia cerebrale. La gatta nera lanciò un rapido sguardo in alto: ne scorgemmo gli occhi, simili a una verde fiammata, fissi un istante su Elias P. Hutcheson; e poi la sua attenzione fu tutta per il piccolo, che giaceva immobile, con un lieve fremito delle zampe, mentre una striscia rossa si allungava dalla ferita aperta. Con un grido soffocato, quale solo un essere umano avrebbe potuto emettere, si chinò sul gattino lambendo le ferite e mugolando. All'improvviso sembrò capire che era morto e ancora levò gli occhi verso di noi. Mai dimenticherò quel che vidi, perché la gatta sembrava la personificazione stessa dell'odio. Gli occhi verdi fiammeggiarono cupi, e i denti bianchi, aguzzi, sembrarono scintillare fra il sangue di cui erano intrisi muso e baffi. Digrignò i denti, si rizzò sugli artigli. Poi fece un balzo selvaggio contro la parete per arrivare fino a noi, ma, perso lo slancio, ricadde all'indietro e peggiorò ancora il suo aspetto già terribile giacché cadde sul piccolino e si rialzò con il mantello nero lordo di sangue e materia cerebrale. Temetti che Amelia perdesse i sensi e dovetti allontanarla da lì. Poco discosto c'era un sedile all'ombra di un platano fronzuto e lì la sistemai, perché si riavesse. Poi tornai da Hutcheson che non si era mosso e guardava la gatta furiosa in fondo alla fossa.

— Per dio, — disse quando lo raggiunsi — non ricordo di aver mai visto una furia così eccetto una volta, quando una squaw Apache riuscì a mettere le mani su un mezzosangue, soprannominato Splinters proprio per il modo in cui aveva « sistemato » il piccolo di questa squaw, che aveva rapito durante una scorribanda fatta al campo tanto per far capire d'avere apprezzato la tortura riservata alla propria madre da parte degli Apaches. La donna aveva dipinta in faccia la stessa espressione di questa bestia. Diede la caccia a Splinters per tre anni e alla fine i suoi lo acciuffarono e gliene fecero dono. Dissero che nessun uomo, ne bianco ne indiano, aveva mai avuto morte più lenta sotto le torture degli Apaches. L'unica volta in cui vidi sorridere la squaw fu quando la freddai.

Arrivai al campo giusto in tempo per vedere Splinters tirare le cuoia, e non è che fosse così spiacente di morire. Era un tipo duro e per quanto non mi sentissi più tanto suo amico dopo quella faccenda con il piccolo indiano, perché era stata una grossa carognata la sua, e lui avrebbe potuto benissimo essere un uomo bianco come me, almeno così sembrava all'aspetto... ebbene vidi che era stato ripagato appieno; dannazione, presi un brandello di pelle che era rimasto appiccicato a un palo... me ne sono fatto un portafoglio. L'ho qui, ora! — e così dicendo si diede una pacca all'altezza del taschino interno della giacca.

Mentre parlava, la gatta insisteva nei suoi sforzi immani per dare la scalata alla muraglia. Sembrava indifferente al fatto che ogni volta finiva con il ripiombare giù, perché tornava a lanciarsi con rinnovato vigore. E ad ogni caduta il suo aspetto si faceva più orribile. Hutcheson era uomo di cuore gentile: ne a mia moglie ne a me erano sfuggiti certi suoi atti delicati nei confronti sia degli animali che degli uomini, e sembrava preoccupato del grado di furibonda smania della gatta.

— Su, non fare così, — disse. — Accidenti, quel povero gatto se l'è proprio presa! Su, piccina, ti assicuro che non l'ho fatto apposta, anche se questo non servirà a renderti il tuo micino. Pagherei chissà che cosa, per ridartelo. Guarda un po' che cosa può combinare un maldestro come me quando si mette in mente di fare il buffone. A quanto pare sono una pappamolla tale da non riuscire a giocare neppure con un gatto. Dico, colonnello!, — era, questo di distribuire titoli a destra e a manca, un suo divertente vezzo — spero che vostra moglie non se la prenda con me per quel che ho combinato. Accidenti, chissà che cosa pagherei per passarci un bei colpo di spugna.
Si avvicinò ad Amelia e si profuse in scuse, e lei con la sua usuale gentilezza d'animo si affrettò ad assicurargli che capiva benissimo come si fosse trattato di un incidente. Poi tutti ci riavvicinammo al parapetto e guardammo giù.

... La gatta, non scorgendo più Hutcheson, si era ritirata al di là del fossato e si era accucciata, quasi si preparasse ad un nuovo salto; e in effetti l'attimo stesso in cui lo vide balzò in su, e con una furia ciecamente irrazionale, che sarebbe apparsa grottesca se non fosse stata spaventosamente reale. Non cercava di arrampicarsi lungo la parete, ma si limitava a lanciarsi contro di lui, quasi che l'odio e la furia potessero fornirla di ali e permetterle di coprire di colpo la grande distanza che la separava da lui. Amelia, con tipico intuito femminile, cominciava a preoccuparsi e mise in guardia Elias.
— Dovete stare molto attento — gli disse. — Quell'animale tenterebbe di uccidervi se solo fosse qui. Ha uno sguardo omicida.
Lui fece una gran risata. — Scusatemi, signora, — rispose — ma non posso fare a meno di ridere. È ben strano che uno che si è battuto contro orsi e indiani debba temere di finire ucciso da un gatto. Quando l'animale lo sentì ridere, parve mutare completamente tattica. Non tentò più di saltare o di correre contro la parete, ma si acquietò e, accovacciandosi di nuovo accanto al gattino morto, cominciò a lambirlo e a vezzeggiarlo quasi fosse stato ancora vivo.
— Guardate, — dissi — ecco il potere di un vero uomo. Perfino l'animale nel pieno della sua furia riconosce la voce del padrone e gli si prostra davanti.
— Come una squaw! — fu l'unico commento di Elias P. Hutcheson, mentre avanzavamo costeggiando il fossato. Di tanto in tanto lanciavamo un'occhiata al di sopra della spalletta: potevamo allora scorgere la gatta che ci seguiva.

All'inizio tornava continuamente dal gattino morto, e poi, quando la distanza aumentò, lo prese in bocca e così ci seguì. Dopo un po', tuttavia, lo abbandonò visto che prese a tenerci dietro da sola; evidentemente doveva averne nascosto il cadavere da qualche parte. L'ansia di Amelia crebbe all'insistenza della gatta e una volta ancora ripeté il suo avvertimento; ma l'americano rideva sempre divertito, finché, rendendosi conto di quanto ella fosse in apprensione, esclamò:
— Dico, signora, non dovete spaventarvi per quel gatto. Vado in giro armato io! — A questo punto si diede una pacca all'altezza del taschino posteriore. — Piuttosto che farvi stare in pena, ammazzo quella bestia qui sui due piedi, a rischio di far intervenire la polizia nei confronti d'un cittadino americano che se ne va a spasso con armi da fuoco contro ogni regolamento! — Mentre parlava, teneva gli occhi puntati verso la muraglia, ma il gatto, scorgendolo, rinculò con un miagolio in mezzo ai fiori, celandosi alla vista. Lui continuò: — Mi si possa impiccare se quel gatto non ha più buon senso di un cristiano. Ci scommetto che non lo rivedrò più. C'è da scommetterci che se ne tornerà ora dal suo povero micino e organizzerà un funerale privato, tutto per sé.

Amelia preferì non aggiungere altro, temendo che lui, in uno slancio di malintesa gentilezza nei suoi confronti, portasse a compimento la minaccia di sparare al gatto; e così proseguimmo e attraversammo il piccolo ponte di legno che conduceva all'erto sentiero lastricato 'fra la Fortezza e la Torre pentagonale delle torture. Stavamo attraversando il ponte quando scorgemmo ancora il gatto sotto di noi. Allorché ci vide, la sua furia sembrò rinnovarsi e compì sforzi immani per risalire la muraglia. Hutcheson rideva guardando giù e disse:
— Ti saluto, vecchia mia. Spiacente di averti colpita nei tuoi affetti più cari, ma col tempo ti passerà. Ciao! — Subito dopo oltrepassammo l'arcata lunga e oscura e arrivammo al cancello della Fortezza. Quando riemergemmo dopo aver visitato questo incantevole luogo che neppure gli sforzi deliberati dei restauratori di quarant'anni fa sono riusciti a rovinare (e questo anche se l'opera restaurata era allora di un bianco accecante), sembravamo pressoché dimentichi del penoso episodio del mattino. Il vecchio platano con il suo tronco tutto segnato da nove secoli e il profondo pozzo scavato nel cuore della roccia da prigionieri di giorni remoti, e la bella vista, e lo scampanio che per un quarto d'ora aveva riempito il cielo, ebbene tutto ciò ci aveva aiutato a spazzar via dalle nostre menti l'incidente del gattino.

Eravamo gli unici visitatori quel mattino alla Torre delle torture, così almeno ci assicurò il vecchio custode, e avendo il luogo a nostra completa disposizione potevamo fare una visita minutissima, cosa che altrimenti non sarebbe stata possibile. Il custode, considerandoci la sua unica fonte di guadagno della giornata, era molto premuroso. La Torre delle torture è luogo veramente cupo, perfino ora che migliaia di visitatori vi hanno immesso un flusso di vita e la gioia che la vita comporta; ma ai tempi cui io mi riferisco aveva un aspetto fra i più sinistri e cupi. La polvere degli anni sembrava essersi posata su di esso, e il buio e l'orrore dei suoi ricordi sembravano essere compenetrati nel luogo a tal punto da soddisfare le anime panteistiche di Filone o Spinoza. La prima stanza in cui entrammo sembrava l'immagine stessa dell'oscurità; si aveva l'impressione che persino il sole che entrava dalla porta si perdesse nel vasto spessore delle pareti; la sua luce mostrava soltanto il muro ancora grezzo come doveva essere stato allorché i muratori avevano compiuto la loro opera; ora era però ammantato di polvere, e segnato qua e là di macchie scure che, se le pareti avessero potuto parlare, avrebbero narrato le loro terribili testimonianze di paura e di dolore. Fummo lieti di salire la scala di legno polverosa, mentre il custode lasciava la porta aperta perché ci giungesse un po' di luce, in quanto il candelabro infisso nella parete con quella sua candela maleodorante serviva a ben poco. Quando dalla botola aperta spuntammo in un angolo della stanza superiore, Amelia si strinse a me così forte che potevo sentire il battito del suo cuore. Devo dire che non fui sorpreso dalla sua paura, perché questa stanza era ancora più terrificante di quella di sotto. Qui c'era senz'altro più luce, ma solo quel tanto che bastava per afferrare tutto l'orrore del luogo. Colui che aveva costruito la torre certamente intendeva riservare la gioia della luce e della vista solo ai pochi che ne avessero raggiunto la cima.

Lassù, come avevo notato da sotto, si aprivano alcune finestrelle, sia pure di dimensioni ridotte: altrimenti, nel resto della torre erano state praticate solo strette fessure, quali si possono vedere nelle fortezze medioevali. Solo alcune di queste si aprivano sulla stanza, e anche queste situate talmente in alto che da nessuna parte si poteva scorgere il cielo attraverso Io spessore delle pareti. Contro il muro erano appoggiate alla rinfusa varie spade dalla lama larga, con la punta aguzza. Non lontano vi erano dei ceppi su cui le vittime posavano il collo, segnati qua e là dove il ferro, vinta la protezione della carne, era riuscito ad arrivare fino al legno, intaccandolo. Tutto attorno alla camera, accatastati senza alcun ordine, vi erano vari strumenti di tortura che facevano stringere il cuore solo a vederli... poltrone provviste di aculei che provocavano un dolore immediato e lancinante, poltrone e letti dagli aculei spuntati, la cui azione, sebbene più lenta e a prima vista meno atroce, era ugualmente terrificante; ruote, cinture, stivali, guanti, collari, tutti ideati per stritolare; elmetti di acciaio in cui il cranio poteva essere lentamente ridotto in poltiglia; uncini dalle lunghe impugnature e coltelli appositamente ideati dai tutori dell'ordine di Norimberga; e molti altri giochetti fatti apposta perché alcuni uomini potessero distruggere altri uomini. Amelia era impallidita alla vista di tali orrori, ma fortunatamente non perse i sensi, perché, sentendosi mancare, si lasciò cadere su una sedia e subito dopo balzò in piedi con un grido: e tutta la sua voglia di svenire se n'era andata. Tutti e due fingemmo di credere che causa del turbamento fosse il fatto di aver rovinato l'abito con la polvere e con gli aculei arrugginiti. Hutcheson rise di cuore e accettò la spiegazione.

Ma il punto focale di tutta questa stanza degli orrori era quel congegno noto come la Vergine di Norimberga, sistemato al centro del locale. Era vagamente sagomato come una figura di donna, ma ricordava più che altro una campana o, per fare un paragone più preciso, la figura della moglie di Noè così come se la figurano i bambini nei loro disegni dell'arca; solo che questa non aveva la vita snella e la rotondità perfetta delle anche, canoni estetici che contraddistinguono gli elementi femminili della famiglia di Noè. Difficilmente si sarebbe potuto comprendere che questo congegno avrebbe dovuto rappresentare una figura umana, se il forgiatore, arrivato al viso, non l'avesse modellato con una vaga rassomiglianza a sembianze femminili. All'interno era coperto di ruggine, e ammantato di polvere. Trattenuta da un anello di fronte alla figura, e all'incirca all'altezza del punto della vita, vi era una fune, inserita in una carrucola fissata al pilastro di legno che sosteneva il pavimento della stanza di sopra. Quando il custode prese a tirare questa corda, vedemmo che la sezione anteriore era munita di cardini come una porta; vedemmo anche che il ferro era di uno spessore considerevole, lasciando all'interno giusto il posto per un uomo. La porta era di uguale spessore e molto pesante, visto che ci volle tutta la forza del custode, aiutato sia pure dalla carrucola, per aprirla, e questo era in parte dovuto al fatto che la porta era sistemata di proposito in modo da richiudersi automaticamente una volta che la fune non fosse più in tensione. L'interno era crivellato dalla ruggine... anzi no, la ruggine soltanto difficilmente, anche con il passare degli anni, avrebbe potuto corrodere così a fondo le pareti di ferro; tuttavia fu soltanto quando guardammo all'interno della porta che la diabolica utilizzazione di quello strumento ci fu manifesta appieno. Scorgemmo parecchi aculei, quadrati e massicci alla base e aguzzi in cima, sistemati in modo da trafiggere occhi, cuore e punti vitali richiudendo la porta. A tale vista la povera Amelia stavolta perse davvero i sensi e dovetti condurla giù per le scale e sistemarla su una panca, finché non rinvenne. Che lo choc fosse stato notevole ne è prova il fatto che il mio figlio maggiore porta tuttora sul torace una certa voglia che, a detta di tutta la famiglia, rappresenta la Vergine di Norimberga.

Quando ritornammo, trovammo Hutcheson ancora davanti alla Vergine; evidentemente si era dedicato a sue considerazioni filosofiche di cui ci mise a parte con una sorta di preambolo.
— Credo di aver imparato qualche cosuccia mentre la signora si stava rimettendo. Mi sembra che dall'altra parte della pozzanghera ne abbiamo di cose da imparare! E dire che pensavamo che gli indiani potessero darci dei punti quando volevano rendere la vita difficile a qualcuno. Ma i vostri sbirri davano loro la birra quando volevano. Splinters era riuscito a combinarla bella a quella squaw, ma questa signora gli avrebbe fatto calar le arie di colpo. Gli aculei sono ancora ben appuntiti. Sarebbe una gran bella cosa poter man dare questo giocattolino agli indiani, perché gli facciano fare un giro di propaganda in riserva, che vedano un po', gli amici là, come erano organizzati nel vecchio continente già tanti anni fa. Dite, e se entrassi in quella scatola un minuto tanto per vedere come ci si sta?
— Oh, no, no! — gridò Amelia. — Non vedete quanto è terribile?
— Credo, signora, che non ci sia niente di terribile per una mente speculativa. Mi sono ritrovato nei posti più strani in vita mia. Ho passato un'intera notte nella pancia di un cavallo morto, mentre la prateria tutto attorno andava arrosto, e questo è stato nel Montana. Un'altra volta ho dormito nelle viscere di un bisonte, perché i Comanches erano sul sentiero di guerra e io al mio cuoio cappelluto ci tenevo. Sono poi rimasto due giorni in una galleria in una miniera d'oro, Billy Broncho, nel Nuovo Messico. Ero rimasto intrappolato con altri tre, mentre stavamo scavando. Non mi sono mai lasciato scappare una buona occasione in vita mia. Devo cominciare proprio ora?
Ci rendemmo conto che non aveva alcuna intenzione di lasciarsi dissuadere e allora dissi: — Su, vecchio mio, forza con questo esperimento.
— D'accordo, generale, — fece lui. — Ma forse non sono ancora pronto. Quei gentiluomini, i miei predecessori intendo, non credo ci entrassero tanto volentieri lì dentro penso piuttosto che dovessero legarli come salami per convincerli. Così prima di entrare in quell'arnese voglio essere sistemato a puntino. Sono sicuro che il nostro amico qui una corda da qualche parte la trova e poi può legarmi per bene.

Quest'ultime parole le aveva rivolte, con aria interrogativa; al vecchio guardiano, ma costui, che aveva compreso il senso del discorso, anche se forse non aveva potuto gustarne appieno il tono vivace, scosse il capo. Il suo rifiuto era tuttavia solo formale, tutt'altro che perentorio. L'americano gli buttò in mano un soldo d'oro.
— Prendi, socio, è per tè — disse. — E non spaventarti per così poco: non intendiamo mica invitarti ad una impiccagione!
L'uomo tirò fuori un pezzo di fune sfilacciata e si diede da fare attorno al nostro compagno, stringendo quel tanto che bastava. Quando fu legato dalla cintola in su, Hutcheson disse:
— Un momento, giudice. Credo di pesare troppo perché tu riesca a farmi entrare in quella scatola. Ci salto dentro e poi puoi occuparti delle gambe.
Così dicendo si era inserito nel vano, in cui stava giusto di misura. Amelia seguiva con occhi terrorizzati, ma evidentemente preferiva non intervenire. Il custode completò quindi l'opera legando assieme i piedi dell'americano, che ora era nella assoluta impossibilità di muoversi, ben fissato nella sua volontaria prigione. Sembrava veramente divertito dalla cosa e quel suo abituale sorriso, appena abbozzato, ora gli illuminava il viso.
— Questa Eva, — commentò — devono averla fatta con la costola di un nano! Per dio, uno come me non riesce neanche a tirare il fiato qua dentro! Nell'Idaho le bare le facciamo più comode. Su, giudice, via con quella corda, ma piano, perché voglio provare la stessa emozione di quelli che mi hanno preceduto, quando questi aculei si avvicinano agli occhi.
— Oh, no! no, no! — gridò Amelia sull'orlo di una crisi isterica. — Ma è terribile! Non posso sopportarlo, davvero! — Ma l'americano non si lasciò convincere. — Dite, colonnello, perché non portate la signora a fare due passi? Non vorrei urtarla per tutto l'oro del mondo, ma già che son qui, e che per arrivarci mi sono dovuto macinare ottomila miglia, non sarebbe un peccato buttare tutto all'aria? Non è cosa di tutti i giorni provare l'emozione di essere inscatolato! Io e il giudice qui sistemeremo la cosa in men che non si dica e poi voi tornerete e ci faremo una bella risata tutti quanti.

Una volta ancora prevalse la curiosità: Amelia rimase, stringendosi al mio braccio, tremando mentre il custode si lasciava scivolare lentamente fra le dita centimetro per centimetro la corda che tratteneva la porta di ferro. La faccia di Hutcheson era raggiante mentre seguiva con gli occhi il primo movimento degli aculei.
— Accidenti, — disse — credo di non essermi divertito tanto da quando sono partito da New York. Mi ero azzuffato con un marinaio e ci siamo dati botte da orbi. Ma in questo maledetto continente non mi era ancora capitato niente di straordinario. È tutto così monotono, qui. Su, giudice, ma piano, voglio spenderli bene i miei soldi...
Nelle vene del custode doveva circolare un po' dello stesso sangue di coloro che l'avevano preceduto in quella torre spaventosa, perché manovrava l'ordigno con tale lentezza esasperante e deliberata che dopo cinque minuti, durante i quali il bordo esterno della porta non si era mosso di metà pollice, Amelia ben presto cedette. Mi accorsi che le labbra le si facevano esangui e sentii la stretta del braccio allentarsi. Mi guardai attorno per cercare un posto dove stenderla e quando tornai a guardarla vidi che i suoi occhi erano fissi in un punto presso la Vergine. Seguendone la direzione, scorsi la gatta nera che si accovacciava in un angolo. Gli occhi verdi luccicavano sinistri nel buio del locale, accesi dal sangue che ne lordava il mantello e ne invermigliava il muso.
— La gatta! — urlai. — Attento alla gatta! —Proprio in quello stesso istante con un balzo fu davanti alla Vergine. Sembrava un demone trionfante. Gli occhi le brillavano con ferocia, il pelo era ritto sul dorso, tanto che sembrava aver raddoppiato di volume e con la coda si sferzava i fianchi, come una tigre posta davanti alla preda. Elias P. Hutcheson doveva trovare la cosa divertente, tanto che gli occhi gli ridevano.
— Restassi secco se la squaw non è sul sentiero di guerra — disse. — Allontanatela se tenta qualche scherzetto con il sottoscritto, perché il capo qui mi ha imballato così bene che, se quella mi salta agli occhi per cavarmeli, non riesco neanche a muovere un dito.
In quel momento Amelia perse completamente conoscenza e dovetti sorreggerla per la vita, perché non cadesse a terra. Mentre mi occupavo di lei, vidi il gatto nero accovacciarsi, pronto per il balzo e feci per lanciarmi a difesa di Hutcheson.

Ma nello stesso istante, con un grido infernale, il felino schizzo non come ci aspettavamo contro Hutcheson, bensì in faccia al guardiano. Gli artigli parvero pronti a trafiggere con furia selvaggia, come nelle immagini dei dragoni rampanti nelle stampe cinesi. Dall'occhio del poveretto giù per la guancia vi era un segno che si andava tingendo di rosso, dove l’artiglio aveva lacerato la carne.

Con un grido che ancora non esprimeva il dolore ma solo una terribile paura, l'uomo fece un balzo all'indietro lasciando cadere, così facendo, la porta di ferro. Mi lanciai ma troppo tardi, perché la corda saettò attorno alla carrucola e la pesante massa cadde in avanti con la forza del suo stesso peso.
Mentre la porta si chiudeva, colsi per un istante lo sguardo del nostro povero amico. Gli occhi erano sbarrati in un angoscioso orrore, attoniti; nessun suono gli usciva dalle labbra. Evidentemente era paralizzato dal terrore.
Poi gli aculei compirono la loro opera. Fortunatamente la fine fu rapida, perché, quando aprii la porta, avevano trafitto talmente a fondo da restare infissi nel cranio. Lo liberai, o meglio strappai quel che restava di lui dalla sua prigione di ferro e legato com'era cadde lungo disteso con un tonfo sordo sul pavimento, a faccia in su.

Corsi da mia moglie, la sollevai e la condussi fuori, perché temevo potesse perdere la ragione nel ridestarsi ad un simile spettacolo. La deposi sulla panca fuori e corsi indietro. Piegato contro la colonna di legno vi era il custode che mugolava per il dolore, comprimendosi gli occhi con un fazzoletto invermigliato. E seduta sul capo del povero americano vi era la gatta, che faceva sonoramente le fusa, lambendo il sangue che sgorgava dalle straziate cavità degli occhi.
Credo che nessuno possa accusarmi di crudeltà: afferrata una vecchia scimitarra, troncai la belva in due.


(Bram Stoker)


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