Hammer of Gaming



 Resident Evil

Raccon City, Stati Uniti d'America: gli agenti Chris Redfield, Jill Valentine, Barry Burton e Albert Wesker venivano mandati alla ricerca dei membri del team Bravo, membri come loro delle forze speciali S.T.A.R.S. Giunti sul posto, tutti gli indizi portavano a una magione apparentemente abbandonata. All'interno avrebbero scoperto l'inenarrabile, l'inferno sulla terra: creature non-morte, ridestate alla vita, mutazioni biologiche orripilanti e si, creazioni di laboratorio perché come recita bene il nome giapponese dell'opera, Biohazard, qui non c'entrano demoni o mitologie varie bensì l'uomo e la costante ricerca di evoluzioni militari inerenti al supersoldato, culminate con l'ultima ricerca biotecnologica della Umbrella Corporation, una società disposta in più campi ma soprattutto nella ricerca e l'implementazione del Virus T. Questo virus era essenzialmente una proteina a struttura cristallina munita di DNA proprio, il quale se inserita all'interno di una cellula ospite si sostituiva interamente al DNA originale, rilasciando il virus e quindi alterando le funzioni cellulari di routine e infettando quelle contigue. Questo sia se l'ospite al momento del contagio era vivo oppure morto, visto che il virus permetteva la creazione di un afflusso anormale di neurotrasmettitori, enzimi ed ormoni inducendo l'ospite a ridestarsi persino dalla morte, con una perenne fame chimica ed una eterna rabbia psicotica, in pratica uno zombie. Se avete seguito tutto il discorso ecco capire da dove attinge l'intera serie ormai fino ai giorni nostri.

Resident Evil proponeva sostanzialmente un gioco di esplorazione e ricerca quanto di combattimento, un gameplay fortemente incentrato sulla sopravvivenza fatto di poche misture curative e pochi proiettili in rapporto ai nemici incontrati. Altrettanto erano carenti i salvataggi, davvero conteggiati per l'appunto, in modo da far aumentare l'aspetto angosciante nel videogiocatore di perdere i suoi progressi di gioco in una ambientazione di gioco estremamente orrorifica e forte di una struttura ludica che portava al ragionamento ed alla soluzione di piccoli puzzle spesso ambientali. La trama sempre calzante e ricolma di colpi di scena manteneva sempre viva l'attenzione del giocatore, portandolo ad una costante riflessione non solo sul raziocinio delle risorse ma sulla gestione dell'inventario, quantomai ristretto. C'è da dire che il gioco era sempre molto proporzionato ed equilibrata a livello di difficoltà e se inizialmente la parte complessa era quella data dal capire quale chiave poteva aprire quale porta e destreggiarsi con lo scomodo controllo del personaggio in angusti corridoi interni alla magione, fra zombie semoventi lenti e tutti uguali, successivamente si inasprivano i toni fino a veri e proprie boss fight di livello, come contro il serpente gigante. Altri mostri ancora, chiamati Hunter rappresentavano un ostacolo mica da ridere ed infine il percorso narrativo apriva nuovi connotati che ponevano sul colpo di scena ad effetto i suoi meriti maggiori. I finali offrivano percorsi multipli in base a due o tre scelte determinanti e la completezza conclusiva prevedeva anche un epilogo diciamo in parte negativo. Queste basi, unite ad ulteriori evoluzioni successive rappresentate dai seguiti diretti e da altri giochi a questo titolo ispirati, hanno dato negli anni la definizione reale del sottogenere videoludico dei survival horror. E se in ogni cosa come regola c'era sempre un inizio ed una fine, i generi videoludici non sono da meno. Quello di questo genere nasceva ufficialmente nel 1996 ad opera di Capcom proprio con quest'opera. Storia comune è che Shinji Mikami, il suo ideatore, prese ispirazione da Alone in the Dark del 1992, pubblicato dalla francese Infogrames. In realtà sembra oggi più probabile che derivi tutto da Sweet Home, un gioco di ruolo di Capcom piuttosto atipico, dove un team di quattro personaggi avevano lo scopo di bonificare un'antica magione da creature di varia natura. A volte le grandi idee nascono così, da produzioni mediocri che non sono riuscite a lasciare il segno.

Per comprendere bene cosa ha rappresentato l'uscita del gioco, quasi diciotto anni fa, bisogna tornare con la mente a quegli anni, che vedevano il celebre SNES di Nintendo vendere agevolmente incurante della uscita della nuova generazione di console, avvenuta l'anno prima. Chiunque a quei tempi voleva un Super Nintendo e... no sbagliato. Chiunque si accontentava di uno SNES ma desiderava una scusa, un motivo per comprare il nuovo Sega Saturn o la misconosciuta Sony PlayStation, che grazie all'ausilio delle migliori creazioni di Namco cominciava a farsi sempre più conoscere ed apprezzare. Serviva un gioco composto di vera next gen, necessario per dare la sensazione che era giunta davvero una nuova epoca. Ed in questo il 1996 fu proprio un anno magico, dove tra Resident Evil e Tomb Raider vennero poste le basi per tutto lo sviluppo successivo, rendendo vecchi di decenni i giochi per le piattaforme precedenti e prendendo per mano l'industria verso nuovi mondi poligonali. La creazione di Capcom anziché puntare su mondi completamente in tre dimensioni puntava maggiormente sull'effetto scenico, piegando il videogiocatore alla struttura e mai viceversa. Le ambientazioni erano gotiche e spettrali con fondali pre-renderizzati ultra dettagliati e ricolmi di oggetti non interattivi e grossi personaggi poligonali a percorrerle. Altra parte importante erano le inquadrature, mai fisse e di chiaro effetto e stampo cinematografico. I percorsi adibiti al movimento erano vincolati agli scenari e quindi sovente stretti corridoi che impedivano lo spazio di azione e reazione, peraltro quasi del tutto privi di luoghi sicuri. Le nuove prospettive fondevano insomma perfettamente l'approccio tipico del videogame di allora, fatto di qualità, sostanza e puro gameplay, con il cinema e la narrativa fantasy, creando le basi per quello che sarebbero poi diventati in seguito i videogiochi moderni. Ed è proprio in tale modernismo che Resident Evil rappresentava al tempo stesso il più fulgido esempio sia per le tematiche trattate che per la trama da film, capace di avvicinare anche persone che con i videogiochi non avevano mai avuto un vero contatto. Con questo gioco almeno su console eravamo entrati in un sol colpo nella nuova generazione che rappresentava al contempo davvero qualcosa di nuovo che a partire dalla generazione a 32-bit avrebbe preso binari creativi del tutto differenti.

(TheHammerOfMartax)