martedì 27 aprile 2010

Fragile Dreams: Farewell ruin of the Moon


Quanto ho atteso Fragile Dreams: Farewell Ruins of the Moon? Un anno? Di più, forse un anno e mezzo. Avevo provato la versione import nipponica ed ero convito di trovarmi di fronte ad un gioco un po' strano, forse appena ripetitivo, ma d'altronde lo avevo solo giochicchiato, giusto qualche oretta di gameplay senza peraltro capirci molto visto che per mia disperata ignoranza non comprendo alcunché di giapponese. Piuttosto che anziche no quindi, l'insaziabile voglia nativa verso le opere di tri-crescendo mi stava divorando al punto che a breve nasceva l'incazzatura perenne verso gli studi Namco che si ostinavano a relegare tale opera d'arte esclusivamente al mercato orientale. Dopo lo splendido Eternal Sonata, probabilmente insieme a Valkyria Chronicles il più bel jrpg di questa generazione, mi aspettavo quantomeno un opera paritaria al triste capolavoro uscito in origine su Xbox360 anni or sono. Vediamo però, oggi che l'idioma è comprensibile (ahimé solo inglese) e la versione è quella PAL, se davvero questo presunto capolavoro merita davvero tante sperticate lodi da parte di alcune persone, oppure si dovrà piegare all'impietosa critica occidentale che senza volerlo forse ha centrato per una volta un voto o quasi su una produzione in arrivo dal Giappone.

Rispetto a molti jrpg usciti da quando questo genere esiste, Fragile Dreams si colloca in una ambigua posizione, quella dei crossover con i survival horror, esperimento che già abbiamo conosciuto con Koudelka ed i due Parasite Eve usciti secoli or sono sulla prima PlayStation. Questi però erano dei crossover particolari, perché univano una architettura alla Resident Evil infarcita di notevoli elementi jrpg. Fragile invece propone l'esatto contrario: abbiamo a che fare infatti con un jrpg infarcito di componente horror e strutture prese in prestito dal genere dei survival. Come sarà uscito fuori il mostro lo vedremo a breve.

Cominciamo con il character design e la componente grafica: tutto in Fragile Dreams fa respirare la stessa aria fatata già vista in Eternal Sonata, ma ovviamente più oscura e pesante nelle cromature. I personaggi, in particolare il protagonista (anche perché gli altri appaiono molto di rado) risulta disegnato ad arte e maestria, con pregevoli qualità di caratterizzazione capace con poche espressioni di descrivere uno stato d'animo, un pensiero. Si tratta dunque di un cartoon in sostanza, che per toni e colori, come anche tutto lo stesso concept, ricorda il dimenticato capolavoro de: "Una tomba per le lucciole" (1988) di Akiyuki Nosaka. Proprio queste caratteristiche bucano lo schermo e ci si avvinghiano al cuore, perché le vicende di Seto, il protagonista del gioco, ci permettono una visione introspettiva profonda quanto decadente, triste e drammatica proprio come il film di animazione di Nosaka. Queste varianti non sono nuove in ambito jrpg, ma lo sono per un horror e questo permette una maggiore soggezione alla solitudine che attanaglia alla gola sia il protagonista che chi lo controlla. Ci ritroviamo quindi a stretto contatto con la fragilità interiore dello spirito, la solitudine e l'insicurezza che il protagonista con la sua vita è costretto a vivere e che ci trasporta. In un mondo post-apocalittico tanto caro agli sviluppatori di videogames infatti, ecco l'ambientazione maestra di emozioni che Fragile Dreams ci porta in grembo, pronta a nascere sotto quella stella tanto trascurata nell'industria ma che con alcuni titoli in precedenza come Ico e Final Fantasy VII come pochi altri ed ora con Heavy Rain, sembra poco per volta accorgersi: il dramma narrativo.

Non voglio aprire ulteriori punti sulla trama, perché questo è un argomento poco descrivibile a parole, in quanto scritto a sensazioni. Mi piange dunque il cuore scrivere quello che sto per far seguire, ma si possono vivere diverse esperienze con Fragile Dreams, tutte soggette al proprio stato d'animo e la predisposizione ad una certa impressione emotiva. Perché vedere le lande desolate e lo stato di abbandono in Fallout non è la stessa cosa che farlo in questo gioco. Perché mentre nella produzione Bethesda ogni attività emotiva è stata arginata e limitata ad uno scorcio, in questo invece viene esaltata al punto che ogni singolo screen per piena tipica arte comunicativa giapponese trasuda una sensazione ed una espressione. Di questo me ne ero già accorto con la versione nipponica, dove appunto pur mancando della comprensione dei testi riuscivo a sentire il decadente e tristo pathos del gioco.

Valutando fin qui Fragile Dreams ovviamente l'impressione non può che essere altissima: graficamente bellissimo, character design delicato ed esemplare, trama profonda e di un certo spessore, ambientazione forse un po' buia ma azzeccata e tante ma tante sensazioni emotive, come promesso dagli sviluppatori. L'impressione quindi sulla carta che siamo di fronte ad un capolavoro è notevole. Eppure è strano come giocandoci si scopre che qualcosa non funzioni a dovere, che il paradiso tanto decantato qualche rigo sopra si trasforma repentinamente in frustrazione e ripetitività, al punto da chiedersi chi è stato quel criminale capace di invalidare i migliori presupposti che si siano visti nell'industria negli ultimi cinque anni. Fragile Dreams infatti è una opera d'arte che di primo acchito stupisce e che poi si scopre essere un falso, una crosta fatta male e priva di reali qualità ludiche.

Puoi realizzare una storia bellissima, introspettiva ed emozionante, ma se non realizzi un libro, un fumetto, questa cosa potrebbe diventare se non fuori luogo, non cosi determinante. Prendete un gioco scarso ed incollateci sopra la trama del gioco che avete amato di più. Cosa fareste, lo giochereste ugualmente? Vi emozionerà lo stesso? Entrerà nelle vostre grazie come ci era entrato in origine? Probabilmente no, perché non bisogna mai dimenticare che il gameplay è l'anima del videogame. Fragile Dreams pecca infatti proprio sul più bello, sulla cosa più importante che ci sia: il gameplay. Gli errori non sono pochi mentre quella che abbonda dopo il bagliore iniziale è una di quelle sensazioni mortali che in un videogame speriamo sempre di non trovare mai: la noia. Si ragazzi, non fate quella faccia, scrivo alle quattro di notte ed a quest'ora non scherzo mai, al massimo barcollo sulla tastiera con qualche svirgola o errore grammaticale. Fragile Dreams è noioso, specialmente nel tristissimo level design fatto di backtracking, corridoi e stanze, scalinate e ambienti infinitamente ripetuti, che accigliano il videogiocatore medio quanto quello testardo e cocciuto. Ma non solo: ecco la pletoria di spettri da affrontare senza sosta, sperando di non rimanere mai senza armi a combatterli perché altrimenti certe battaglie più elaborate davvero vi accompagneranno per periodi molto lunghi e tediosi, con la profonda voglia di spegnere la console e mandare affanculo gli sviluppatori. Situazioni del genere nella mia carriera di videogiocatore non ne avevo mai viste francamente: un concept divino, una trama potenzialmente profonda ed introspettiva ed una grafica di massima molto bella, unito ad un gioco che in se arriva appena alla mediocrità. Il sistema di battaglia poi, elementare e poco preciso, non aiuta per niente ed anzi appesatisce un gameplay di per se letale. Si potrebbe appellarsi al fatto che Fragile Dreams non vuole essere solo un jrpg ma una sorta di incrocio fra il survival horror classico ed il gioco di ruolo, ma questa fusione è fatta male, fatta in modo grossolano e con alcune scelte davvero incomprensibili specie nelle azioni offensive del combattimento, perché mentre l'unico sforzo da compiere per sferrare l'attacco è la pressione per tempo del tasto A sul vostro telecomando Wii, vi ritroverete a prendere la mira del colpo tramite contorsioni impossibili perché i furboni non hanno incluso la possibilità del lock-on sui nemici. Il motivo? Probabilmente per risparmiare lavori di perfezionamento, inspessimento e costruzione del battle system e rendere ugualmente le battaglie impegnative. A peggiorare il tutto in questo strano crossover, ecco lo zainetto S.T.A.R.S. come al solito limitato a pochi pezzi, cosa che costringe il videogiocatore ad una selezione continua del proprio armamentario. Questa situazione va più che bene in Resident Evil, meno in Fragile perché il sistema delle armi è meno semplice di quello del titolo Capcom, dove il fucile non si distrugge col tempo ed i nemici non ricaricano i loro HP con qualche artifizio. In Fragile invece le armi si danneggiano e le possibilità di acquisto sono casuali, nel senso che il venditore appare qua e la nel gioco ma mai quando serve. Ne conseguono infiniti scontri privi di combo ed attacchi vincenti, dove la speranza di vittoria è data dal logoramento inflitto nel tempo al nemico,


Non vi è nulla di più deludente di essere realmente avvolto in un concept unico e poi finire nella zona del crepuscolo di dylandoghiana memoria, dove tutto si ripete all'infinito, interrotto solo dalle riflessioni del protagonista ed i suoi dialoghi solitari e dalle solite schermaglie di combattimento con centinaia di fantasmi che altro non sono che le manifestazioni dei sentimenti immortali che erano rimasti dopo la morte. Arrivare a vedere il falò adibito per salvataggio come un punto di felicità, ristoro e sgranchimento, dove alzarsi e farsi un ghiacciato bicchierone di coca cola e limone per tenersi svegli anche a mezzogiorno.. beh non va bene affatto. Il gioco voleva essere un punto d'incotro fra un survival horror ed un jrpg, ma delude proprio in questo, non riuscendo mai a raggiungere un punto d'incontro vincente e lasciando l'intera esperienza claudicante proprio laddove doveva spiccare il volo. Dispiace, davvero lo scrivo con il cuore in mano perché da tri-crescendo non mi aspettavo una debacle del genere. Le prime ore di gioco sembrano molto interessanti e vi faranno sognare, ma poi dopo che la bolla delle prime fasi di interesse si è sgonfiata, cosa è rimasto? L'impressione dunque è che per gli amanti dei giochi di ruolo, forse sarebbe meglio volgere lo sguardo altrove, magari all'ottimo Xenoblade in uscita o per i puristi, Sakura Wars. Per gli amanti dei survival horror invece, fate come me: compratevi Silent Hill Shattered Memories e tenete in considerazione Fragile Dreams solo se lo trovate ad un prezzo basso, entro i venti euri da qualche rivenditore perché solo a questo prezzo potrebbe valerne la pena.


(danleroi)

giovedì 22 aprile 2010

Monsters (probably) Stole My Princess



Non ho mai apprezzato molto i minis, dei videogame concepiti in forma estremamente ridotta ad un prezzo estremamente budget. Dicevo, non li ho mai apprezzati perché proprio questo prezzo spesso è più caro di quanto dovrebbe oppure la realizzazione è superficiale, molto indie o confezionata come molti games in flash che impazzano oggi su piattaforme tipo Facebook. La verità è che, per dirla senza mezzi termini, questi minis per la maggiore fanno cacare e sono una ladrata pazzesca.

Ok, ho detto cosa pensavo. Ora veniamo appunto al minis che da il titolo a questo post, ovvero il buffo Monsters (probably) Stole My Princess, sviluppato da Mediatonic. Si tratta di un minigame molto ben congegnato e divertente, apparso oggi sul PSstore. Concettualmente è un platform a percorso verticale. Il protagonista della vicenda è un certo The Duke, che si rifà per design alla figura tipica del vampiro brizzolato, tipo per intenderci il papà di Ransie la Strega. Siamo tuttavia di fronte ad un aristocratico, che si è covinto che qualche terribile mostro abbia (probabilmente) rapito la sua amata principessa. Il sospetto è palese, visto che trova tutto posto a soqquadro come solo un essere di grandi dimensioni sarebbe in grado di fare. Come potete vedere dal video allegato, si tratta di un prodotto estremamente divertente già solo per la sua introduzione.

Divertente e dal design prettamente nipponico per intenderci "alla Disgaea" questo giochillo non è l'eccezione che conferma la regola sui minis come prodotti mediocri. Per quanto interessante, sostanzialmente offre delle gare di velocità con il nemico e la necessità di colpirlo a morte prima del traguardo. Ogni livello seguirà questo canovaccio, dando molto l'impressione di trovarsi di fronte ad un prodotto piuttosto elementare quanto al tempo stesso piacevolmente azzeccato. Non combacia appieno il prezzo di quattro euri al quale è stato posto. Si tratta di una spesa nel complesso fattibile per il prodotto in questione, ma se pensiamo che con solo un euro in più c'è tanto bendiddio nella softeca PSOne sullo store di Ps3 capirete che forse conviene volgere l'attenzione in precedenza a questi. Ma se avete già preso cosa vi serviva e cercate un videogame scanzonato, leggero e divertente, da giocare sia su PS3 che sulla PSP.. beh mi sembra che Monsters (probably) Stole My Princess sarà senz'altro un ottimo acquisto oltre che il miglior minis finora pubblicato.

Il primo di maggio, il blog ufficiale di Playstation darà a tutti la possibilità di fare domande al suo creatore, ovvero Paul Croft.
Se vi interessa non mancate! In alternativa, vi rimando al Sito Ufficiale del gioco.


sabato 17 aprile 2010

Erano i Cani Rognosi..


A questo mondo c'è chi sa davvero godersi la vita.

I Cani Rognosi stanno tornando..


Putride figure semi-leggendarie, paladini del lerciume e della disgrazia, i Cani Rognosi hanno in dono l'antico e profano verbo dell'offesa, dell'ingiuria, della maldicenza. Incuranti dell'opinione altrui, i Cani Rognosi fondano la loro terribile coscienza sulle macerie maleodoranti di questo schifoso mondo, pronti a intervenire come colpo di grazia contro la gente non meritevole di una seconda possibilità. Sbucati fuori d'improvviso dalla malefica melma della Vecchia Bialera, i Cani Rognosi sono la reincarnazione terrena della scarogna, della sventura e della blasfemità. Come mettersi al riparo da questa terribile catastrofe? Non puoi fuggire, i Cani Rognosi sono dentro di te..





venerdì 16 aprile 2010

Una stella cadente ancor lontana..

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Ucci ucci.. sembra che qualcosa di grosso stia bollendo in pentola nei quartier generale di Square Enix. Un mio informatore mi ha rivelato in modo alquanto misterioso una notizia un po' particolare: sembra che all'E3 di quest'anno, la celebre sofco giapponese annuncerà un titolo capace di lasciare a bocca aperta tutti quanti. Ancora non c'è nessuna conferma ufficiale, ma a quanto pare tutti gli altarini saranno svelati a giugno durante la fiera losangelina. Ovviamente questa news mi ha scosso e non potevo che linkarla qui sul blog, in attesa di conferma o smentita da parte della stessa Square Enix.

Vediamo un pochino però di fare qualche ragionamento in merito, su che titolo potrebbe essere questo "giocone" in arrivo: un remake? Una nuova Ip? Un seguito? Sicuramente sarà una delle tre ipotesi, questo è chiaro, ma bisogna stabilire quale lasciando il campo alle supposizioni: Una nuova serie? La cosa è possibile, ma con la crisi economica che non accenna a diminuire ed i diversi problemi che le software house stanno affrontando, trovo abbastanza difficile che proprio Square Enix, una società che in questi anni è diventata tristemente celebre per aver usufruito in modo abnorme dal suo principale marchio commerciale, possa investire molto denaro (se ci lascerà a bocca aperta sicuramente sarà un progetto costoso) in un nuovo franchise. Quindi escluderei questa ipotesi per ora.

Un seguito importante? Un remake? Si, potrebbe benissimo essere cosi, ma di quale gioco? Dubito un remake o un nuovo esponente della serie di Chrono, con il tanto agognato Chrono Break. Questo perché lo stesso autore intervistato in merito si diceva molto dubbioso su questa possibilità, perché la conversione per DS di Chrono Trigger ha venduto molto poco. Ci sarebbe Xenogears, incastonato nel cuore di molti seguaci, ma il creatore originale del titolo oggi è in forze a Nintendo ed al lavoro su altri progetti e dubito poi un interessamento di Square in merito, perché la serie non ha trascinato più di tanto da venire annunciata in questo modo. Un nuovo SaGa? Aaah quanto mi piacerebbe, però non ha mai venduto molto e poi vale lo stesso discorso di Xenogears, non verrebbe annunciato in pompa magna. Idem per i vari Einhader, Ergheiz, Tobal e perché no, anche Secret of Mana. Secondo me, niente di tutto questo.

Fra tutti i grandi classici Square Enix però, mi ricade il pensiero continuamente su Vagrant Story. Il motivo è Yasumi Matsuno, uno dei migliori game designer di sempre, autore oltre che del suddetto gioco anche di Final Fantasy Tactics e Final Fantasy XII. Proprio quest'ultimo, datato ormai quattro anni fa è ufficialmente l'ultimo gioco sul quale il buon Matsuno ha lavorato. Quattro anni sono tanti, di mezzo potrebbero starci due giochi per DS o Wii oppure un grande progetto, come sembra appunto quello al quale Square sembra stia lavorando. Detto questo, siamo a punto daccapo: di cosa si tratta? Un nuovo progetto? Un remake o sequel di Vagrant Story? In questo caso l'annuncio sarebbe davvero shock, non tanto per il nome che porta, conosciuto anzi a pochi, ma per la qualità che un remake o sequel del genere per funzionare dovrebbe avere, sopratutto in termini visivi! L'originale era stato distribuito da un po' di tempo anche sul PSN, quindi una interessante prospettiva in ambito di possibili vendite se la saranno fatta.

Se la saranno studiata bene anche per qualcos'altro però: quali sono i franchise che più di tutti farebbero arricchire Square Enix con un remake o seguito eccellente? Ovvio che si tratta delle più celebri: Dragon Quest e Final Fantasy. Vediamo quante possibilità ci sono che questo annuncio shock riguardi una di queste due serie: Quella del dragone non ha mai attecchito molto in occidente, per questioni distributive e non qualitative ovviamente. Tuttavia come insegna l'ottavo episodio per PS2, le cose possono sempre cambiare. Eppure il nove è già uscito in Giappone ed ancora deve affacciarsi in Europa, ed il dieci invece è da tempo annunciato in esclusiva Wii. A parte di titoli secondari, piuttosto dubbi visto che si tratta di giochi privi di un certo appeal dalle nostre parti. Discorso diverso per Final Fantasy: dopo l'uscita del tredicesimo capitolo e l'annuncio del quattordicesimo online, francamente non credo che Square voglia annunciare subito il numero quindici. Altre versioni possibili sono il remake per DS di Final Fantasy V e VI, cosa parecchio interessante ma non da lasciarci a bocca a aperta. Dunque? Beh.. se non sarà un gioco di Matsuno io credo che si tratterà del tanto agognato remake di Final Fantasy VII. Potrebbe essere anche un seguito di Final Fantasy XIII, che verrebbe senz'altro ben apprezzato dal pubblico.

Per concludere: secondo me il gioco misterioso è il nuovo progetto di Yasumi Matsuno. Non so dire quale, non sono un indovino, ma sono certo della sua presenza. Altrimenti come dicevo, sarà il celebre remake del settimo episodio. Non è solo un parere che depone a suo favore: Final Fantasy VII è il gioco più venduto su PSN e quello più richiesto a gran voce dai fan. La vena aurifera che ha dato origine a Crisis Core, Advent Children e Dirge of Cerberous si sta ormai esaurendo: che sia il momento giusto finalmente per calare il poker d'assi prima che sia troppo tardi?

(danleroi)


mercoledì 14 aprile 2010

Il ritorno di Abe..

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State pure fermi sulla sedia, per ritorno non intendo un nuovo capitolo di Oddworld purtroppo, visto che a quanto pare questa serie è ancora ufficialmente data per dispersa, ma il ritorno di Abe's Oddysee, uno dei migliori giochi per la prima storica PlayStation. So che tutti speravate che ciò che resta di Lorne Lanning e Oddworld Inhabitants mettessero mano ad un nuovo capitolo di quella che doveva essere una quintologia e che vede invece quattro soli esponenti, tutti di pura classe: Oddworld Abe's Oddysee; Oddworld Abe's Exoddus; Oddworld Munch's Oddysee ed infine l'action Oddworld Stranger. Degli altri titoli vedremo prossimamente, sperando in una riedizione o qualcosa del genere. Se avete pazienza di cercare su eBay, comprateli pure anche solo per sentito dire: fidatevi, sono belli e preziosi!

Abe torna dunque, ma come dicevo si tratta soltanto di una riedizione sul PlayStation Network, tramite la sezione PS Classics. Per chi di voi non conoscesse il gioco spiegherò qui di seguito di cosa si tratta con parole mie: Il concetto alla base dell'ormai mitico Oddworld: Abe's Oddysee era quello di unire un platform di buona fattura con una storyline molto accattivante, arricchendolo di decine e decine di elementi puzzle, come di tradizione ai tempi di PSOne. Il risultato è qualcosa di incredibile, un prodotto capace di farsi apprezzare anche nella prima era 3D, dove i videogame bidimensionali erano malvisti e considerati senza appello come retrò. La maestosità di questa realizzazione eppure ha superato ogni pregiudizio, e con i soldoni di una GT Interactive ancora in gran forma e lontana dalle grinfie malsane di Infogrames, il risultato è stato un game di grande impatto, capace di far sfigurare certe merdine odierne come quel Braid spacciato ai quattro venti per capolavoro. Ma cosa significa Oddworld e chi sarebbe questo Abe? Il gioco si ambienta in un pianeta fittizio denominato appunto Oddworld non a caso, visto che è ricolmo di creature dall'aspetto molto particolare. Come potete vedere in queste immagini, il design dei vari mostriciattoli è ben fatto ed artistico al punto giusto, quasi una espressione di quanto il gioco ha da offrirvi. Infatti il vero protagonista di questa "storia" non è Abe, ma lo strano mondo nel quale vive, che si presenta come un connubio perfetto fra fantasia e realismo. Fantasia perché ogni singolo tassello del quale è composto ha un non so che di strambo e assurdo quanto anche sopratutto grottesco. Realismo perché le tematiche affrontate all'interno di questo universo non sono poi molto differenti da quello nostrano. Ma torniamo al gioco in se e vediamo in una rapida carrellata nominale quello che più vi resterà impresso giocando ad Abe's Oddysee: fondi industriali, alieni con protesi meccaniche, stranezze varie ed aggressivi mostriciattoli fanno da contorno alla razza scelta come protagonista di questa avventura: i Mudokon, un popolo strano anch'esso ma il più simile agli esseri umani per forma, con la differenza di essere profondamente pacifici e purtroppo anche indifesi. Non a caso in natura ormai ne restano pochissimi, mentre quelli che sono stati catturati lavorano come inservienti (diciamo anche schiavi) nei diversi stabilimenti di produzione di tutta Oddworld, sfruttati dai potenti padroni, i Glukkon, creature simili ai calamari. Questi strambi individui tutti impomatati occupano i ranghi sociali più alti nel pianeta e gestiscono ogni cosa con lo stesso bieco fare dei nostri cari industriali. Spietati ed interessati solo al profitto aziendale, hanno reso schiave al loro dominio le tribù di Oddworld, relegandogli un ruolo in base alle varie attinenze: ramo militare, ramo gestionale ed anche.. ramo alimentare! Gli Scrab per esempio, i Paramiti.. tutte creature utilizzate con questi scopi. Ce ne stanno anche altre, ma molte ormai sono estinte da tempo. La razza più remissiva di tutte invece, i Mudokon, hanno trovato posizione come addetti alle pulizie ed in tutti i lavori di fatica. Sono l'ultima ruota del carro di un sistema che non solo li esclude da ogni diritto ma li considera anche sacrificabili, un po' come i nostri operai nel mondo reale.

La storia di Abe inizia in uno dei stabilimenti controllati dai Glukkon, precisamente i Mattatoi Ernia. Molluck e tutto il consiglio di amministrazione da tempo cercano nuove idee per la produzione, che sempre più arida di proposte persegue sempre sugli stessi alimenti, condannando le diverse specie progressivamente all'estinzione. Abe, un mudokon felice e fischiettante perché vittorioso dell'ambito premio di operaio dell'anno, sta pulendo ancora una volta i corridoi dietro gli uffici di Molluck il glukkon, quando per puro caso gli capita di origliare quello che nella sala riunioni sta succedendo. Acquisita una posizione per spiare senza essere visto, scoprirà a brevissimo l'ultima diavoleria inventata dai Glukkon per riportarsi in auge finanziariamente. Una nuova specie è stata selezionata per la macellazione, una specie che finora era stata poco sfruttata in questo ambito è pronta a subire la stessa sorte degli Scrab e le loro tortine od i pasticci di Paramiti: i Mudokon!! Scioccato e terrorizzato, inizia cosi la grande fuga di Abe, che tenterà oltretutto di salvare i suoi novantanove colleghi all'interno dei mattatoi. Appena lasciata la postazione però, l'allarme viene immediatamente diramato ed i vertici, capitanati da Molluck stesso, scoprono cosi della fuga. Sulle sue orme ci verranno inviati centinaia di Slig, delle creature senza gambe utilizzate come guardie. Severissimi e militareschi, contraddistinti da speciali gambe meccaniche ed un mitragliatore sempre caldo, assieme ai fidi Slog (dei cagnoni-mostro alieni) rappresentano il principale nemico in cui Abe si imbatterà nella avventura. Non a caso hanno l'ordine di uccidere a vista tutti coloro che abbandoneranno la postazione di lavoro.

Con questa premessa inizia l'avventura, narrata nel nostro idioma dalla voce fuori campo dello stesso Abe. Il gioco come dicevo è un platform di scuola bidimensionale, con un bellissimo effetto di profondità ed una palette di colori fredda e scura quanto perfettamente definita. L'elemento puzzle è presente in ogni schermata di gioco e si basa prevalentemente su enigmi ambientali più o meno complessi, che fra leve e passaggi segreti permettono la risoluzione di questi ed il passaggio in zone successive. L'elemento cardine però non è l'avanzamento nel gioco, ma il salvataggio degli altri operai mudoki. Questo avviene tramite particolari portali attivabili con la preghiera ed il canto. I Glukkon conoscevano bene di questo particolare potere dei Mudokon, cosi l'intera fabbrica da tempo era stata riempita di diversi dispositivi laser fulminanti che rilevano ogni più possibile canto. Il nostro scopo dunque sarà quello di liberarci di queste protezioni, passare sotto centinaia di macchine addette alla triturazione della carne, decine di portali con rilevatori di movimento ed ogni più diabolico ordigno uscito fuori dalla mente di Lorne Lanning e soci. Come se non bastasse, per la fuga bisogna passare proprio dalle riserve di Scrab e Paramiti, che nelle loro zone si trovano in stato di semi-libertà. Aggressivi ciascuno a modo loro, assieme alle guardie rappresentano la minaccia più insidiosa del mondo di Oddworld. Ad aggiungere un altra dimensione marcatamente puzzle al gioco poi, ci sarà il sistema di dialogo: ebbene si, nel gioco se vuoi proseguire devi parlare! Hai un tot di comandi predisposti al dialogo, che non sarà un semplice chiacchiericcio senza senso ma dei precisi ordini vocali che Abe impartirà ai vari operai mudokon sparsi nel gioco con lo scopo di farsi seguire, per dirgli di fermarsi o proseguire, e nel seguito (Oddworld Abe's Exoddus) anche per consolarli o sgridarli in caso di depressione o ubriachezza. L'unica vera arma che Abe possiede è il potere di prendere possesso degli Slig e utilizzarli a proprio piacimento. Per fare questo però bisogna riparare in un posto sicuro ed intonare un altro tipo di canto più particolare. Altre abilità poi verranno sbloccate verso la fine del gioco, ma non immaginatevi che Abe's Oddysse si trasformerà in un action! Resta sempre una avventura molto cerebrale, fatta di diversi passaggi non troppo difficili ma perfettamente complessi e calibrati.

Oddworld Abe's Oddysee è un'opera monumentale, un vero e proprio inno al level design ed un capolavoro senza tempo. Invecchiato benissimo, ancora oggi sarebbe in grado di divorarsi in un boccone ogni platform puzzle in circolazione. Superato per complessità e varietà dal suo stesso seguito, prossimamente speriamo in release sul PSN, è un acquisto obbligato per chiunque voglia vivere un vero videogame fatto con ingegno e qualità. Perchè poi, volendo approfondire certe tematiche, quello che passano i disperati mudokon non è troppo diverso da quello che l'industria odierna fa passare alla classe operaia, i primi a pagare sempre e comunque. I Glukkon spietati e gli Slig senza cervello rappresentano un'altra profonda critica al sistema: i primi rappresentano i colletti bianchi o se vogliamo gli industriali, i padroni che considerano la vita solo consequenziale al bilancio. I secondi, schiavi anch'essi, sguazzano nel più vile servilismo servendosi di protesi in grado di dar loro il giusto potere. Rappresentano dunque al tempo stesso sia il servo corrotto e cieco, supino al volere del padrone che al tempo stesso le forze dell'ordine, obbligate dal dovere tante volte ad eseguire e non analizzare, schierarsi a favore di un ordine spesso nemmeno cosi giusto e corretto. Paramiti e Scrab invece, con la loro selvaggia natura rappresentano il mondo animale, ingiustamente sacrificato per farci arrivare wurstel ed hot dog in modo naturale, manco crescessero sugli alberi. Infine nel seguito queste tematiche verranno ancora più ampiate: i mudokon con gli occhi cuciti che fanno pendant con quelli dello stabilimento Ernia, con la cucitura alla bocca, vogliono significare proprio la condizione sociale differente alle diverse dipendenze. I mudokon resi ciechi infatti lavorano in miniere senza mai fermarsi. Non hanno diritto a vedere la luce perché a loro è concesso solo il lavoro. Se guardiamo come nel mondo reale vengono sfruttate certe popolazioni asiatiche ed africane con lo scopo imperativo della produzione, possiamo renderci conto come questo gioco offra diversi spunti di riflessione. Uscito originariamente nel 1997 sulla prima leggendaria PlayStation, adesso è disponibile a soli cinque fottuti euri tramite PSN. Il gioco funziona sia su PSP che PS3, quindi se possedete almeno uno di questi formati non avete scuse. Chi di voi invece ha ancora una PS2, si dia alla caccia della vecchia versione PS1 su eBay, a qualunque prezzo possibile perché queste esperienze non hanno valore monetario ma solo artistico.

(danleroi)



domenica 11 aprile 2010

Il giuoco italico..

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In Italia i giochi che tirano di più -ormai si sa- sono quelli che mediamente fanno più cacare, eppure in base alle recenti classifiche sembra che la vendita del software in terra nostrana sia stata leggermente migliore del solito nel 2009, anche se nei limiti della banalità più mostruosa. In testa ovviamente, in un paese fondato sul calcio, non poteva mancare il duetto composto da PES e FIFA, quest'anno ancora più agguerriti grazie alla campagna pubblicitaria che Electronic Arts ha compiuto per le varie redazioni di siti e riviste di tutto il mondo. Soldi e garanzie di esclusività però non sono bastati in un paese che per tradizione "non legge" e cosi la povera Konami nello stivale resta la preferita, in barba a tutti i maledetti "fifari" che ogni anno rompono le balle con la solita panzana che "quest'anno Fifa è migliore di Pes".

Oltre ai giochi di calcio però, perché si, in Italia esiste un "oltre", ecco piombare la tech demo di Nintendo, il famoso Wii Sport Resort, ovvero una raccolta di abbozzati videogames sportivi basata interamente sulle meraviglie del Wii Motion Plus, ammenicolo finora mal sfruttato che permette di rilevare movimenti più precisi con il classico telecomando Wii. Siamo dunque sempre in ambito sportivo, in pieno stile italico quindi, una nazione di campioni, specialmente dalla poltrona. Per le gioie di EA invece, sempre affamata di soldi e deretani (anche nostrani), ha venduto bene la nuova versione di Need for Speed, serie ormai decaduta e che campava giusto al nostro aggiornato paese. Quest'anno però ne è valsa la pena: infatti Shift è davvero ben sviluppato, anche se ha cambiato totalmente stile e per questo motivo è facilmente reperibile fra l'usato: niente più corse del sabato sera, tanto amate dai nostri amici terroni, ma su pista, alla Gran Turismo per intenderci. Altro ritorno gradito invece, il discreto Tekken 6, titolo che pecca di un comparto estetico non proprio brillante.

Italia si, Italia no, un popolo di atleti con Wii Fit Plus, che non è ben chiaro se questa classifica sgraffignata a qualche sito che non vi dico si riferisce alla versione con la balance board o quella senza. La differenza? Solo ottanta euro di sudore, roba di poco per una etnia composta di giovani spendaccioni. I giovani si, i giovani no. Ma la giovine Italia ci sa fare, è arguta ed anche se legge poco, adora guardare le figure, osservare cattedrali e capirci un fico secco, perché fa stile. In un paese intriso di storia, ovviamente la cultura è un obbligo ma non qui da noi: fanfaroni come pochi, il massimo in grado di digerire è qualche ventina di minuti di Voyager, un programma che sa bene il fatto suo e non a caso prepara sempre brevi servizi fatti con il culo su argomenti potenzialmente molto vasti. Per un popolo cosi ovviamente Assassin's Creed 2 di Ubisoft è la manna dal cielo, visto che si presenta come un bellissimo contenitore estetico privo di sostanza. Se lo avete comprato per il look del protagonista invece, fate il paio con Prototype, un gioco completamente diverso ma con lo stesso cappuccio di Altair ed Ezio Auditore. Da noi ci scommetto, ha venduto solo per questo.

Ho dimenticato Call of Duty diecimila? Nono.. tranquilli boxari pcisti della malora, mi ricordo perfettamente di quel bel giochino militare che da qualche secolo vi consuma tutto il vostro testosterone! Come trascurare poi l'ultima opera di Infinity Ward, una sofco ormai decapitata e depredata dei migliori talenti? Sparate pure senza sosta ragazzi, Call of Duballe andrà avanti ma non sarà più la stessa cosa ed io mi godo il pensiero di vedervi nei prossimi anni schiavi delle (poche) abilità di Treyarch! Se invece siete dei sonari pcisti, oltre al solito beverone di Activision vi siete cuccati anche la sua fotocopia in salsa sci-fi, ovvero il buon Killzone 2. Gli amanti dell'avventura invece, la parte buona del paese, hanno ben sovvenzionato le casse di Sony e Capcom con l'acquisto di Uncharted 2 e Resident Evil 5, due giochi di ottima fattura, anche se il secondo ha ben poco a che fare con le origini della nota serie. Ma pazienza, meglio non protestare, correre il rischio di ritrovarci Milla Jovovic per il prossimo episodio è troppo alto. Uncharted invece è tutto un mistero: la critica lo adora, io pure l'ho goduto come pochi, ma fatica a vendere a livello internazionale perché non tiene "locuste" e scimuniti spacciati per eroi chiamati "padrone capo" in game. Per fortuna che noi, vecchi cuori di Tomb Raider, lo sappiamo apprezzare.

Da bimbolandia infine, ecco Pokemon Platino, ennesimo furto compiuto dalla grande N ai danni dei fans di questi mostriciattoli teneri ed inoffensivi. Altro? Certo, ecco infatti L'era Glaciale 3, una porcheria con gli achievements facili, quindi la comprerò anche io prima o poi. Infine Ben 10, che non so -per fortuna- nemmeno cosa sia. Per il pianeta donna invece, ecco The Sims 3, gioco che solletica le manie dell'ordine delle nostre dolci donzelle. Un gioco da cancellare dalla faccia della terra, perché tra lui e World of Warcraft (per le più ardite) queste non ramazzano più in casa e ci tocca fare tutto a noi homini veri! Sono troppo cattivo, lo so bene, cercherò dunque di rimediare con qualche bel complimento nemmeno troppo velato: mio popolo adorato (si fa per dire), vi ringrazio di esservi ricordato anche di quella perla di New Super Mario Bros e del sempreverde Mario Power Tennis. Un po' meno per Mario e Sonic ai giochi olimpici invernali ma va bene lo stesso. Vi ringrazio ancora poi per Professor Layton blablabla e sopratutto mi chiedo come mai non ve li siete scaricati, che razza di italiani siete?

(danleroi)

venerdì 9 aprile 2010

Blast Dozer (Blast Corps)

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Quando ai bei tempi su console si giocava prevalentemente a platform, picchiaduro e racing game di stampo arcade, su Nintendo 64 si affacciò un gioco piuttosto particolare in quanto privo di genere d'appartenenza. Oggi ci siamo abituati a diversi crossover di giochi, che mettono nel frullatore diversi tipi di gameplay creando spesso pastrocchi ingiocabili o frustranti, ma ai tempi i videgames erano tutti ben definiti e distinti, tant'è che per le varie somiglianze fra titoli si usava ancora la parola "clone". Oggi se vorremmo usare tale termine con lo stesso criterio d'un tempo, ci ritroveremo sommersi solo da cloni perché l'originalità per buona parte è andata a farsi benedire.
Blast Dozer però non era cosi: sfuggiva ad ogni azione descrittiva: ne gioco di corse, ne puzzle e neanche un rts, ma rendeva in cambio un gamplay originalissimo e brillante. Ancora oggi, dopo aver ampiamente soffiato nel cartuccione della mia versione giapponese del gioco, trovo che conservi quello status di originalità profonda che tanto avevo apprezzato ai tempi. Ma chi poteva a quei tempi creare un gioco così apolide per il bel Nintendone secondo voi se non i ragazzacci di Rare? Infatti Blast Dozer, conosciuto in occidente con il nome di Blast Corps, fu sviluppato da Rareware per etichetta Nintendo e rilasciato a noi comuni mortali nella primavera del 1997. Considerato un action puzzle con forti dosi di time attack, in realtà come da premessa iniziale, lo sviluppo embrionale dell'idea nata al team dei fratelli Stamper era così assai originale da mandare in crisi i videoplayers d'epoca, che abituati a sapere sempre cosa compravano, non riuscivano mai a definire di cosa trattasse il gioco. Il concept di gioco però non era affatto complicato o adatto a pochi, non vantava una trama elaborata e nemmeno causava pesantezza e brutti mal di testa. Mi sto dilungando un po' troppo, lo so bene, ma per spiegarvi come si deve il suo gameplay devo partire da lontano, arricchendo di queste premesse il testo perché davvero ancora oggi non è facile descrivere questo titolo nemmeno per me che sono un bel chiacchierone.

Il gioco inizia con una serie di brevi e semplici missioni che guidano il videogiocatore nell'apprendimento di ogni singolo mezzo. Un camion carico di esplosivo nucleare avanza minaccioso verso centri abituati. Jack Bauer non c'è, quindi non c'è possibilità di deviare la sua rotta o bloccarlo e basta anche il più piccolo imprevisto o collisione che rischiamo la detonazione. Per evitare che questa avvenga dunque, bisogna lasciarci campo libero e rimuovere ogni oggetto che possa trovarsi d'intralcio, compresi palazzi e grattacieli se necessario, demolendo ogni cosa velocemente per evitare il game over. Una freccia indica la direzione da seguire per incontrare le costruzioni indesiderate, aggiornandosi di volta in volta per segnalare quella più prossima al camion nucleare. Bene, ma con cosa liberiamo il cammino al camion? Beh, come dicevo ogni missione tiene diversi mezzi adibiti al travaglio, ma naturalmente proseguendo nel gioco ne sbloccheremo altri migliori e più adatti, al pari passo con la maggiore difficoltà che il gioco stesso via via amplierà severamente. I mezzi a nostra disposizione tuttavia saranno molteplici e distinti nel loro utilizzo, niente goliardata arcade dunque, ma serio apprendistato dietro ad ogni singola possibilità che questo ci permette di utilizzare. Per fortuna la struttura del gioco ci viene incontro con livelli dedicati apposta al loro singolo utilizzo, ma non immaginatevi un tutorial, perché come ai bei tempi, per padroneggiare un gameplay bisogna tentare e ritentare ancora, con debita frustrazione nel caso non ci riusciamo. Risolto un livello poi sara pure necessario rivisitarlo (senza time limit stavolta) per ripulire definitivamente il campo scovando una serie di obiettivi secondari importanti che daranno poi l'accesso a stage bonus o semplicemente incrementare lo score. In ogni livello infatti è necessario liberare un certo numero di civili abbattendo i palazzi dove si nascondono, attivare dei piccoli segnalatori luminosi, scovare eventuali postazioni radar in grado di sbloccare bonus e se vogliamo contattare degli scienziati senza i quali non è possibile godersi per bene la sequenza finale ed altro ancora. I livelli di gioco sono tanti e quindi la longevità è assicurata. Infine l'alternarsi di questi non ha un percorso prestabilito visto che sono accessibili tramite una strana mappa a ragnatela che si dirama di volta in volta offrendo parecchi percorsi alternativi, missioni e minigiochi divertenti che ricordano per brevi estratti capolavori come Micromachines e PilotWings.

Tecnicamente Blast Dozer oggi si presenta ovviamente datato, ma vantando in origine una grafica minimalista e dei controlli precisi, nemmeno più di tanto. Sarebbe bello infatti una eventuale conversione per NDS, magari proprio per quello nuovo in tre dimensioni, visto come la visuale dall'alto si presterebbe facilmente a tali scopi garantendo maggior immersione. Tuttavia le potenzialità del Nintendo 64 ai tempi furono ben sfruttate: le texture sono curatissime, come solo questa console ai tempi permetteva. Poi non c'è il minimo pop-up ed il frame rate a mio dire sembra piuttosto stabile. I contorni dei poligoni prevedono ampio uso di anti-aliasing e si vede, anche se naturalmente il tutto per gli standard di fine anni novanta. Gli effetti sonori sono splendidi, come anche visivamente le varie esplosioni (che nel gioco abbondano) rendono bene l'effetto di devastazione. Il punto forte tuttavia di Blast Dozer è la sua giocabilità, ed ogni mezzo utilizzato per spianare la strada al camion nucleare risponde perfettamente ad un tipo di gameplay. Esistono poi altri mezzi di trasporto, dal treno al furgone per spostare da un luogo all'altro i nostri mezzi offensivi. Di questi invece ne esistono otto, tutti molto distinti fra loro: una ruspa cingolata capace di appiattire qualsiasi costruzione passandoci sopra; la moto capace di sparare missili; un autoarticolato che distrugge i suoi obiettivi utilizzando l'estensione dei montoni sul lato destro e sinistro della sua sezione posteriore; un lento autocarro con cassone ribaltabile; una dune buggy piccola e veloce con un booster con il quale viaggiare ad alta velocità; un robot potentissimo ideale per la distruzione degli edifici di grandi dimensioni; un piccolo esoscheletro robotico a motore, con il quale distruggere edifici di medie dimensioni ed infine un bellissimo mech con tanto di jet-pack e quindi adibito al volo e dunque in grado di distruggere dall'alto. Ognuno di questi strumenti offensivi vanta quindi un pregevole e profondo sistema di controllo, ed utilizzarli con intelligenza all'interno dei diversi "puzzle" che il gioco richiede non sarà facile, ma nemmeno proibitivo, perché Blast Dozer vanta anche una notevole curva di apprendimento alla vecchia maniera e se lo dico io che gioco alla versione giapponese potete fidarvi.

Impressionante l'abilità con cui nelle oltre sessanta missioni Rare sia riuscita ad imprimere un modus operandi per ogni stage, costringendovi dopo due o tre simili ad utilizzare tutte le vostre risorse intellettuali per risolvere il percorso. Tale profondità di gioco conferma come questo prodotto si meriti appieno di appartenere alla folta schiera dei capolavori di Rare e con un posto di prestigio pure, perché di rado si sono visti lavori di level design cosi precisi e superlativi, al punto da lasciare meravigliati a percorso completato di come siamo riusciti a completarlo. Il mio consiglio dunque è di ricorrere ad ogni mezzo per procurarvelo e giocarci, perché davvero questa industria sente il bisogno oggi di produzioni di questo calibro fondate non troppo sulla magnificenza grafica ma sulla solidità del suo gameplay. Blast Dozer nel suo piccolo è un capolavoro più puro e più videogame di tanti presunti masterpiece odierni. Rare nel 1997 si confermava con Nintendo la miglior software house in circolazione, e viene giù una lacrimuccia se pensiamo che oggi sembra appena la controfigura di se stessa. Il camion nucleare purtroppo ho come l'impressione che l'abbia preso in pieno.

(danleroi)

giovedì 8 aprile 2010

Fan come i tifosi

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Mah.. io ho sempre retto poco quelli che si spacciano per "fan d'altri tempi" e passano il tempo a spalare merda sullo stesso marchio che dicono di avere amato. Io capisco la delusione, ma spesso è volentieri le critiche non hanno nemmeno fondamento, cosa che mi fa pensare che vengono espresse con superficialità ed ignoranza, oltre che probabilmente questo marchio non lo si è mai amato davvero. Sono dei poveretti che vogliono con forza scusare il loro disinteresse girando a terzi le colpe, aggrappandosi ad ogni più possibile scusa per evitare di venire scoperti dalla loro stessa coscienza. Persone che vogliono darsi un passato ed una storia forzando le righe per sentirsi originali, salvo poi affogare in un mare di banalità.

Tuttavia il fastidio maggiore me lo danno i vecchi fan conservatori di un epoca che non c'è più. Quelli che adorano il marchio leggendario e sputano veleno su quello odierno. Quelli che odiano altre marche perché causa della disfatta di quello adorato oppure dopo vent'anni sono ancora restii ad avvicinarcisi. Posso capire la vena di romanticismo, però davvero in questo caso si raggiunge un indice di pessimismo davvero brutale: il bicchiere infatti è sempre mezzo vuoto, salvo se per puro caso non vengono esauditi! Poco importa se il marchio in questione è andato ad un passo dal fallimento o chissà si regge in piedi per miracolo, se i prodotti tanto desiderati venderebbero giusto ai pochi e sparuti gruppetti di fedeli oppure se vengono adoperati tagli e manomissioni d'ultim'ora: basta una virgola storta che comincia la contestazione. Una cosa è amare, un'altra è essere tifoso. Se il marchio in questione appartiene ad un prodotto, uno stile, una sensazione però in parte anche lo condivido, a denti stretti ma ci riesco.

Infine davvero raccapriccianti ci sono i fan più ortodossi, quelli che oltre al marchio adorato non esiste altro. Ciechi come talpe, inghiottono dal beverone ogni più piccola stronzata che il marchio amato gli propone, gorgogliando felici e beoti la loro supremazia costruita a suon di tante piccole e grandi supposte al gusto di fragola. Questi sono insuperabili, si documentano e studiano ogni più piccola possibilità per competere sui marchi rivali, in cerca della supremazia dialettica sull'avversario di turno, spesso un suo eguale. A mio giudizio sono questi la vera razza da estirpare, per un mondo migliore.


(danleroi)